martedì 19 giugno 2012


Di Gianluca Bergadano
Il 24 maggio 1915 il re Vittorio Emanuele III, d'accordo con il governo, dichiara guerra all'Austria. L'Italia si era dichiarata neutrale fino a quella data, anche se vi erano stati numerosi dibattiti e una frattura nell'opinione pubblica che era quasi sfociata in una guerra civile.                                              La minoranza degli interventisti aveva avuto il sopravvento sulla maggioranza dei neutralisti.
Nel 1915 si inizia subito a organizzare la produzione bellica, aumentando il numero degli stabilimenti destinati alla produzione di armi e prodotti ausiliari (divise, scarpe, coperte ecc); anche i lavoratori vengono costretti ad una disciplina quasi militare. 
Vengono sospese tutte le conquiste sindacali ottenute fino ad allora, a cominciare dal diritto di sciopero, soppresse tutte le norme contro gli infortuni, imposti orari di emergenza, una vera disciplina di guerra applicata a tutti. Mentre i contadini vengono arruolati e muoiono nelle trincee, gli operai vengono militarizzati, si torna a salari e orari insostenibili, la popolazione comincia a non avere più da mangiare a sufficenza e a vivere con grandi privazioni.
Il generale Luigi Cadorna, comandante dell'esercito italiano, tenta all'inizio una serie di attacchi che però falliscono miseramente; a questo punto le truppe vengono schierate sul fiume Isonzo e sull'altopiano del Carso. Lì si combatte una durissima guerra di tricea che lascia al suolo tantissimi giovani soldati.
Nel 1917 le truppe austriache sfondano le linee italiane a Caporetto e mettono in fuga migliaia di uomini per circa 150 chilometri. Solo dopo alcuni giorni gli italiani riescono a fermare le truppe sul Piave. 
La disfatta di Caporetto suscita un'impressione sconvolgente nell'opinione pubblica italiana.Il generale Cadorna viene sostituito dal generale Diaz, il quale riesce a risollevare il morale dei soldati, con l'esortazione: "Ora si deve solo combattere per un unico scopo: difendere la patria!"



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