

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra al cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
COMMENTO:
Questa poesia è breve: è formata da una sola strofa; i versi sono sciolti e della stessa misura: hanno tutti undici sillabe (endecasillabi). Il testo contiene due periodi: il primo è una lunga domanda, il secondo è una rapida dichiarazione. Il registro lessicale è alto, letterario, solo poche parole sono di uso comune, vicine al parlato. Le immagini sono potenti, dure, crude. I temi principali sono:
- i mali della guerra: l'occupazione straniera della propria terra, le morti violente, le deportazioni, i genocidi, la distruzione di case e città;
- la poesia come impegno civile, per "rifare l'uomo", stimolando in lui l'esercizio della ragione e dell'amore.
Con questa poesia Salvatore Quasimodo vuole rievocare l'orrore dell'occupazione nazista e ricordare il clima di oppressione e di mancanza di libertà che impediva ai poeti di scrivere. Infatti Quasimodo si pone la domanda di come possano i poeti cantare le proprie odi, concentrarsi e lasciarsi andare nel descrivere cose belle e allegre quando ciò che li circonda non è altro che orrore, distruzione, madri che piangono la morte dei figli, mentre i nazisti continuavano a occupare l'Italia.
Balbo Stefano
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